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venerdì 31 gennaio 2014

Fiat, Electrolux e la sinistra che non c'è più

Dopo la svendita di Bankitalia, dobbiamo registrare un'ulteriore e traumatica perdita per il nostra Paese. Come saprete, dopo 115 anni di storia e 7,6 miliardi di aiuti di Stato dal '77 ad oggi (ecco la fonte), il più importante gruppo finanziario e industriale italiano privato, la FIAT, fa le valige e sposta la sede fiscale in Gran Bretagna, quella legale in Olanda, e la sede operativa a Detroit. In pratica, lo stabilimento di Torino resterà in Italia solo come fabbrica di automobili di una società estera a tutti gli effetti. Almeno finchè non decideranno di chiuderlo.

Sempre di questa settimana è poi la notizia della proposta di Electrolux per "salvare" gli stabilimenti italiani. La ricetta formulata dalla multinazionale svedese è la seguente: taglio dei salari del 40%, taglio dei premi aziendali dell'80%, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e permessi sindacali del 50% e lo stop agli scatti di anzianità. Secondo Electrolux questo sarebbe l'unico modo per ridurre il gap con il costo del lavoro in Polonia.

Minimo comune denominatore di queste emblematiche e sintomatiche vicende si ravvisa nella sempre maggior convenienza, per i grandi colossi industriali mondiali, di trasferire la propria attività laddove costo del lavoro, cuneo fiscale e diritti dei lavoratori sono più bassi. Ma se per un'azienda, che persegue fini di lucro, questo può essere normale, la politica dovrebbe tutelare i propri cittadini e quindi difendere il progresso civile e sociale guadagnato nei secoli. 

Appare evidente come a livello comunitario queste non rappresentino affatto delle priorità, dato che alla perdita della sovranità monetaria, economica e politica degli Stati membri non si è accompagnata un'armonizzazione legislativa comunitaria che tutelasse i diritti sociali raggiunti fino a quel momento. Ciò ha avuto, e continua ad avere, un'unica conseguenza, che ora è sotto gli occhi di tutti: una sfrenata concorrenza al ribasso su diritti sociali e dei lavoratori al fine di migliorare la competitività (come abbiamo spiegato in questo post) e attrarre investimenti esteri (vi ricordate "Destinazione Italia"? Ne abbiamo parlato qui). 

A questo punto, qualsiasi forza politica che si autoproclami di "sinistra" dovrebbe proporre un'unica soluzione: l'abbandono della moneta unica, evidente strumento di sopraffazione della classe debole, in favore di interessi capitalistici ed industriali.

Allora qual è la posizione assunta dal "nuovo che avanza" della sinistra italiana riguardo alle attuali problematiche? Per capirlo, andiamo a vedere come la pensa Davide Serra, il principale consigliere finanziario del segretario del PD Matteo Renzi. Quello che segue è il tweet con il quale ha commentato la proposta avanzata da Electrolux:


Nonostante qualche parlamentare del PD abbia dichiarato di non essere d'accordo con tale visione, abbiamo già avuto modo di sperimentare quale sia, all'interno del PD, il peso specifico delle opinioni che si discostano dagli ordini dall'alto. D'altronde c'è perfino chi si vanta di votare contro i propri ideali pur di perseguire gli interessi di Partito, come la renziana Simona Bonafè, che nella puntata di Piazza Pulita del 20 gennaio 2014 dichiarava: "Rispetto alla mozione Giachetti, che ho firmato, ho dovuto votare contro per spirito di partito, perché dal mio partito mi era stato chiesto, proprio per agevolare l'accordo sulle riforme con Berlusconi, 6 mesi fa, di non inficiare questo rapporto e, quindi, di votare contro." Per non parlare poi del trattamento riservato all'ormai ex Presidente del PD Gianni Cuperlo, per aver osato esprimere qualche perplessità sull'Italicum di Renzi e Berlusconi (in particolare riguardo al mancato inserimento delle preferenze). 

Se ancora ci stanno a cuore i nostri diritti, non c'è molto da stare tranquilli. Del resto Renzi da tempo si ripropone di proseguire l'opera di smantellamento dell'articolo 18 iniziata dalla Fornero (come potete leggere qui), obbligando di fatto a una scelta tra diritto al lavoro e diritti del lavoro.

Il disegno sembra chiaro (e lo abbiamo già riassunto in questo post): costringerci ad accettare il progressivo smantellamento dei diritti sociali, fino a trasformare l'Italia in una grande fucina di manodopera a basso costo a disposizione della multinazionale di turno.

Non facciamoci abbindolare: falsi problemi portano a false soluzioni. Aver acquisito un alto livello di tutela dei diritti civili e sociali deve essere considerato senza dubbio un motivo di vanto per un Paese, e non un peso da scrollarsi di dosso. Chiunque sostenga il contrario sta perseguendo obiettivi opposti a quelli dei cittadini che dovrebbe rappresentare. 

Prima che non ci resti più nulla da difendere, dobbiamo riprenderci la sovranità monetaria, e con essa quella politica ed economica. Solo così potremo ricostruire un futuro dignitoso e di speranza per noi e per le future generazioni.

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